Da “MEDITAZIONI VISIVE”

Stefania Severi

 

………La passione per la pittura, non avendo seguito studi scolastici specifici, ha spinto Enrico Quattrocchi a frequentare, negli anni sessanta, il corso quadriennale di pittura presso la prestigiosa Scuola delle Arti Ornamentali del Comune di Roma, nota come la San Giacomo. Qui, dove hanno studiato anche Umberto Boccioni e Gino Severini, Giovanni Omiccioli e Mario Mafai , Quattrocchi, dopo aver superato l’esame di ammissione, ha seguito il corso sotto la guida del maestro Letterio Scalia………Durante e dopo il corso ha iniziato ad esporre.  Le sue opere sono state accettate per l’esposizione di Via Margotta, gestita allora dal Comune di Roma, e per le collettive promosse da “Il Giornale d’Italia” al Palazzo delle Esposizioni di Roma.

La vita però lo ha condotto su percorsi diversi, anche se ha continuato sempre ad interessarsi all’arte, anche se solo a livello teorico, sia per passione sia per seguire gli studi della figlia Marzia Archeologa e del figlio Andrea  Architetto.

Nei primi anni del 2000 l’amore del “fare” arte, in modo attivo e propositivo, ha preso di nuovo il sopravvento. Così ha iniziato a realizzare un consistente numero di opere ed esporre  in alcune collettive e personali (Roma, Viterbo, Soriano nel Cimino, Bomarzo, Tagliacozzo), particolarmente significativa la personale realizzata nella prestigiosa sala della Biblioteca Angelica di Roma, sotto il patrocinio del Comune di Roma,

………La pittura di Enrico Quattrocchi è una pittura dai contenuti articolati. Egli rifugge dai repertori descrittivi…….prediligendo tematiche complesse. Il tema ricorrente e centrale è quello dell’uomo di cui, di volta in volta, l’artista sottolinea le capacità reattive, il modo di fruire la città contemporanea, la facoltà di dominare i propri mostri, la presenza (o  assenza)  di un pensiero forte, l’identità. Al centro del dipinto c’è comunque l’uomo e il pittore invita l’osservatore a riflettere sull’immagine ed a reagire, vuoi per empatia vuoi per rifiuto.

……….Numerose opere, risalenti a vari periodi, potrebbero essere indicate come “riflessioni” su vari assunti che riguardano il pensiero. In esse compare la testa

 dell’uomo, ora celata quasi a rifiutare ogni contatto con l’esterno, ora in una sorta di spaccato che mette in mostra il cervello. “Cervelli senza anima”, il trittico “Speranze perdute”, il dittico “Solitudine”, il Trittico di suggestione politica “Chimerica”, “Al centro del nulla?” e la serie degli spaventapasseri sono in tal senso esemplari…….Altre volte le “riflessioni” sono affidate al tema dell’identità e della sofferenza umana  attraverso la rappresentazione di un indumento esemplare, la camicia. Questa, sola o con altre (ad esplicitare la varietà dei soggetti), assume una identità quasi pirandelliana. Dipinta e ridipinta, quasi ossessivamente, è mezzo per esprimere stati d’animo come la solitudine, la paura, l’inadeguatezza, la sofferenza, il rimpianto, la mancanza di ideali….Quattrocchi affida alla camicia il compito di “gioco delle parti” fino, in qualche caso, ad identificarsi egli stesso nella camicia di turno.

 

 

 

………Elaborata sotto il profilo esecutivo, sempre manuale, e complessa sotto il profilo concettuale, sempre meditata, quella di Enrico Quattrocchi è pittura non facile, nel senso più ampio del termine, che si propone di affrontare i vari problemi dell’oggi senza infingimenti ed edulcorazioni, ma nel modo “estetico” tipico dell’arte. Quattrocchi, in un’epoca in cui il prodotto artistico, sfruttando il ready made e l’immagina fotografica, scade nel triviale, racconta i mali del contemporaneo non rinunciando al ruolo sublimante dell’estetica che è, prima di tutto, quello di trasformare la realtà tout court in realtà poetica.

Stimolanti e aggressive le opere di Enrico Quattrocchi sono soggette ad infinite interpretazioni e pongono interrogativi che esigono risposte.


 
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